Informazioni di dominio pubblico: concesso il diritto d’accesso ai propri dati

Il Garante per la privacy ha affermato il principio secondo il quale Il diritto all’accesso ai propri dati personali non può essere limitato se si tratta di informazioni di dominio pubblico, la cui comunicazione non pregiudica le attività di contrasto a reati di riciclaggio (Garante per la privacy, newsletter 26 maggio 2023).

Al termine dell’attività istruttoria relativa a due reclami presentati nei confronti di istituti di credito da un cliente, che non riusciva ad ottenere un completo riscontro alle richieste di accesso ai propri dati personali, l’Autorità ha dichiarato l’illiceità del trattamento e ammonito gli istituti di credito.

 

Nel caso di specie, infatti, l’interessato non riusciva ad ottenere un completo riscontro alle richieste di accesso ai propri dati personali poichè le due banche rispondevano solo fornendo dati anagrafici e bancari, omettendo ulteriori informazioni. 

Gli istituti di credito, basandosi sulla normativa antiriciclaggio, ritenevano di non dover fornire tutte le informazioni di cui erano in possesso e di cui erano venuti a conoscenza attraverso articoli di stampa. In particolare le notizie riguardavano un’indagine nei confronti del cliente che si era conclusa con una sentenza della Corte di Cassazione.

Per tali motivi, l’Autorità ha ritenuto di dover ammonire entrambe le banche per non aver fornito tempestivo e completo riscontro all’istanza di accesso ai propri dati personali avanzata dal cliente, non ricorrendo gli estremi per l’applicazione della misura della limitazione al diritto di accesso, dal momento che la conoscenza da parte dell’interessato delle predette informazioni, non avrebbe violato gli interessi tutelati dalla normativa antiriciclaggio, trattandosi di notizie di stampa liberamente accessibili a chiunque online, così come la sentenza della Cassazione.

La Carta fondamentale dei diritti dell’UE agli articoli 7 e 8, tutela, rispettivamente, il rispetto della vita privata e familiare e la protezione dei dati di carattere personale. In relazione alla possibilità di limitare tali diritti, all’articolo 52 della Carta, sono fissati i criteri da rispettare nell’applicazione di tali limitazioni:

– il principio di proporzionalità, secondo il quale possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui;

– il principi di necessità, in ragione del quale il diritto dell’interessato a ricevere le informazioni che lo riguardano non può essere eliminato, ma eventualmente rimandato ad un momento successivo.

 

Il legislatore europeo, inoltre, ha disciplinato il tema delle limitazioni ai diritti degli interessati nell’articolo 23 del Regolamento (UE) 2016/679, riguardo al quale si sono soffermate le Linee Guida n. 10/2020 adottate il 13 ottobre 2021 dal Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB).

In alcuni casi, come ad esempio nel caso dell’antiriciclaggio, la limitazione ai diritti potrebbe essere necessaria, laddove fornire informazioni ad interessati sottoposti ad indagine, potrebbe compromettere il successo dell’indagine stessa.

Pertanto gli operatori devono porre in essere un delicato bilanciamento che garantisca un’applicazione proporzionata della limitazione, così da limitare la stessa al periodo di tempo effettivamente necessario a salvaguardare gli interessi generali che potrebbero essere compromessi dalla comunicazione all’interessato.

 

Superbonus 110%: omesso deposito asseverazione di rischio sismico

Ai fini dell’accesso al Superbonus, il progetto degli interventi per la riduzione del rischio sismico e l’asseverazione devono essere allegati alla segnalazione certificata di inizio attività o alla richiesta di permesso di costruire, al momento della presentazione allo sportello unico competente, per i successivi adempimenti, tempestivamente e comunque prima dell’inizio dei lavori (Agenzia delle entrate, risposta 29 maggio 2023, n. 332).

L’articolo 3, comma 3, del decreto interministeriale n. 58/2017, concernente le linee guida per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni nonché per le modalità per l’attestazione, da parte dei professionisti abilitati, dell’efficacia degli interventi effettuati, dispone l’obbligo di depositare l’asseverazione contestualmente alla presentazione del progetto dell’intervento.

Secondo il suddetto comma 3, il progetto degli interventi per la riduzione del rischio sismico e l’asseverazione di cui al comma 2, devono essere allegati alla segnalazione certificata di inizio attività o alla richiesta di permesso di costruire, al momento della presentazione allo sportello unico competente di cui all’articolo 5 del citato D.P.R. n. 380/2001, per i successivi adempimenti, tempestivamente e comunque prima dell’inizio dei lavori.

Ai fini dell’accesso al Superbonus nel caso di interventi antisismici, come chiarito dalla circolare n. 28/2022, sussiste la necessità dell’attestazione, da parte di professionisti abilitati, dell’efficacia degli interventi effettuati, secondo le modalità stabilite dal decreto del Ministero delle infrastrutture n. 58/2017. Secondo il citato D.M., il progetto degli interventi per la riduzione del rischio sismico e l’asseverazione devono essere allegati alla segnalazione certificata di inizio attività o alla richiesta di permesso di costruire, al momento della presentazione allo sportello unico competente, per i successivi adempimenti, tempestivamente e comunque prima dell’inizio dei lavori. Dunque, la tardiva o omessa presentazione dell’asseverazione non consente l’accesso al beneficio fiscale e non può essere considerata una violazione meramente formale, come ipotizzato dall’istante, trattandosi di una violazione che può ostacolare l’attività di controllo.
Inoltre, riguardo alla possibilità di ricorrere alla definizione di cui all’articolo 1, commi da 166 a 173 della Legge n. 197/2022, nell’ambito della Tregua fiscale, ne restano escluse le comunicazioni necessarie a perfezionare alcuni tipi di opzione o l’accesso ad agevolazioni fiscali, per le quali non è sufficiente il comportamento concludente adottato. Il legislatore, infatti, ha previsto l’istituto della remissione in bonis per consentire ai contribuenti di sanare la violazione entro il termine della prima dichiarazione utile.

Nel caso di specie, la soluzione prospettata dall’Agenzia delle entrate al mancato deposito all’ente locale dell’asseverazione prima dell’inizio dei lavori, consiste nel sanare l’omissione, al fine di beneficiare delle detrazioni da Superbonus, ricorrendo all’istituto della remissione in bonis, sempre che la violazione non sia stata constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza e qualora l’istante:

– abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento;

– effettui la comunicazione ovvero esegua l’adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile;

– versi contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione stabilita dall’articolo 11, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997, secondo le modalità stabilite dall’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/1997, e successive modificazioni, esclusa la compensazione prevista.

Tuttavia l’Agenzia delle entrate è impossibilitata a stabilire se ricorrono ancora le condizioni temporali per accedere all’istituto della remissione in bonis, in quanto l’istante non ha specificato in quale periodo d’imposta sono iniziati i lavori ed è stato ommesso di allegare l’asseverazione, rendendo impossibile da stabilire se ricorrono ancora le condizioni temporali per accedere all’istituto. Ciò sarà possibile, in particolare, laddove la prima dichiarazione dei redditi nella quale deve essere esercitata la detrazione della prima quota costante dell’agevolazione sia quella da presentare entro il 30 novembre 2023.

Trattamento fiscale degli strumenti finanziari partecipativi

L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti sulla natura partecipativa degli strumenti “convertendi” e sulla loro sostanziale assimilabilità alle azioni ai fini dell’individuazione del regime tributario applicabile (Agenzia delle entrate, sintesi 25 maggio 2023, n. 1).

L’articolo 5 del D.M. 8 giugno 2011 stabilisce che ai fini dell’individuazione del trattamento fiscale degli strumenti finanziari partecipativi, indipendentemente dalla qualificazione e dalla classificazione adottata in bilancio, si considerano similari alle azioni gli strumenti finanziari che presentano i requisiti di cui alla lett. a) del comma 2 dell’articolo 44 TUIR ovvero similari alle obbligazioni gli strumenti finanziari che presentano i requisiti di cui alla lett. c) del medesimo comma 2. 

L’Agenzia delle entrare spiega come tale previsione, originariamente applicabile solto ai soggetti che adottano i principi contabili internazionali per la redazione del bilancio d’esercizio (soggetti “IAS-adopter”), è stata estesa dall’articolo 2 del D.M. 3 agosto 2017 anche alle imprese che si conformano ai principi contabili nazionali (soggetti “OIC-adopter”), quali sono nella fattispecie gli investitori (NewCo) e la Target.

Ai fini dell’individuazione del corretto trattamento fiscale degli accordi di investimento “convertendi”, l’Agenzia fa riferimento all’articolo 44 del TUIR, nonché alle indicazioni fornite nella circolare n. 26/E del 2004, da cui emerge che gli strumenti finanziari partecipativi sono da assimilare alle azioni laddove abbiano una remunerazione totalmente correlata ai risultati economici della società emittente. In particolare, ai fini dell’assimilabilità alle azioni tale connessione con i risultati dell’emittente deve riguardare sia l’an che il quantum delle somme o dei proventi corrisposti ai sottoscrittori a titolo di remunerazione dell’investimento.

Con riferimento alla fattispecie in esame, la partecipazione immediata alle perdite e prospettica agli utili della società emittente esprime chiaramente la natura partecipativa degli strumenti “convertendi” in esame e, dunque, la loro assimilabilità alle azioni ai fini dell’individuazione del regime tributario applicabile. L’apporto eseguito dal sottoscrittore degli strumenti “convertendi” non ha altra prospettiva all’infuori dell’acquisizione della qualità di socio dell’emittente. Tale apporto ha, dunque, natura di capitale di rischio, erogato a fronte dell’aspettativa di avere accesso ai risultati positivi generati in seguito dalla Target. Gli accordi di investimento nascono, infatti, con la finalità di effettuare la Conversione e sono strumentali alla creazione del rapporto sociale (che si perfeziona dopo un certo tempo). Dunque, l’unica forma di remunerazione prevista per l’investitore è il dividendo una volta assunta la qualità di socio.

In base all’articolo 44 del TUIR il trattamento fiscale che deriva dall’assimilazione degli accordi di investimento alle azioni comporta:

– in capo alla Target, che l’incasso delle somme di denaro messe a disposizione degli investitori non abbia un effetto reddituale e che gli interessi siano irrilevanti ai fini IRES, senza costituire una forma di remunerazione attribuibile al possessore dei titoli partecipativi. In definitiva, in sede di conversione, la Target imputa a capitale sociale (ed eventualmente a sovrapprezzo) la riserva “targata” iscritta a patrimonio netto e attribuisce quote di partecipazione agli investitori senza che vi sia il transito di elementi a conto economico e senza, perciò, che la conversione abbia alcun effetto ai fini della fiscalità diretta dell’emittente;

– in capo agli investitori, che gli accordi “convertendi”, che trovano contabilmente collocazione tra le immobilizzazioni finanziarie (nell’ambito della voce “altri titoli”), rappresentino un investimento destinato a essere durevolmente mantenuto nel patrimonio aziendale dell’investitore.

Alla luce dell’assimilabilità alle azioni, la svalutazione degli strumenti “convertendi” è fiscalmente irrilevante a norma dell’articolo 110, comma 1, lett. d) del TUIR, ai sensi del quale il costo degli strumenti finanziari similari alle azioni si intende non comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti i quali non concorrono alla formazione del reddito. Analogamente, sono prive di rilevanza fiscale le rivalutazioni degli strumenti similari alle azioni.

Ai fini IRAP, chiarisce l’Agenzia, non si producono effetti rilevanti sulla determinazione della base imponibile, di cui all’articolo 6, comma 9, del D.Lgs. n. 446/1997. Infine, nel caso in cui si verifichi la conversione, in occasione della successiva cessione delle azioni di conseguenza acquisite, troverà eventualmente applicazione il regime della participation exemption al ricorrere delle condizioni individuate dall’articolo 87 TUIR sia nell’ipotesi di Modello Contrattuale che di Modello SFP.

Relativamente all’accertamento del presupposto del minimum holding period, invece, il termine di decorrenza da prendere a riferimento dovrà essere il momento della sottoscrizione degli accordi di investimento che incorpora il diritto di ottenere la conversione, tenuto conto che la conversione è un evento che ai fini fiscali non determina l’interruzione del periodo di possesso.

 
 

Avvocati: pagamento contributi a mezzo F24 e istituzione nuova causale

L’Agenzia delle entrate ha provveduto a istituire un’ulteriore causale contributo per il pagamento del contributo minimo integrativo attraverso modello F24 da parte degli iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense (Agenzia delle entrate, risoluzione 24 maggio 2023, n. 24/E). 

Come ormai noto, a seguito della Convenzione stipulata in data 26 novembre 2020 tra l’Agenzia delle entrate e la Cassa Forense, gli iscritti a tale istituto di previdenza hanno la possibilità di pagare i contributi previdenziali e assistenziali dovuti utilizzando il modello F24.

 

L’Agenzia ha già istituito alcune causali con risoluzioni del 2021 e interviene ora, a seguito di espressa richiesta da parte di Cassa Forense, a predisporne una nuova per il pagamento del contributo minimo integrativo.

 

Pertanto, con la risoluzione in oggetto, è stata istituita la causale “E107” denominata “CASSA FORENSE – contributo minimo integrativo” che sarà operativamente efficace a partire dal 5 giugno 2023.

 

Vengono anche fornite le istruzioni per il corretto inserimento della causale di nuova introduzione nel modello.

 

In sede di compilazione del modello F24, la causale in argomento è esposta nella sezione “Altri enti previdenziali e assicurativi” (secondo riquadro), nel campo “causale contributo”, esclusivamente in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, riportando:

 

– nel campo “codice ente”, il codice “0013”;

 

– nel campo “codice sede”, nessun valore;

 

– nel campo “codice posizione”, nessun valore;

 

– nel campo “periodo di riferimento: da mm/aaaa a mm/aaaa”, il mese e l’anno di competenza del contributo da versare, nel formato “MM/AAAA”.

Fruibilità Art Bonus: i chiarimenti dell’Agenzia delle entrate

L’Agenzia delle entrate, con risposta a interpello del 24 maggio 2023, n. 331, ha fornito chiarimenti in tema di credito di imposta Art Bonus e erogazioni liberali finalizzate allo specifico sostegno dell’attività di conservazione, manutenzione e valorizzazione di beni culturali.

Il quesito sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle entrate riguarda l’ambito di applicazione dei benefici di cui all’articolo 1, comma1, del D.L. n. 83/2014 (c.d. Art Bonus), in riferimento ad erogazioni liberali a sostegno di due complessi monumentali di appartenenza pubblica gestiti da un ente che adotta un sistema di rilevazione contabile oggettivamente in grado di consentire la tracciatura della loro integrale destinazione a sostegno dei suddetti beni e di iniziative volte a consentirne la piena fruibilità pubblica.

 

L’articolo 1 del D.L. n. 83/2014, al comma 1, prevede un credito d’imposta, nella misura del 65% delle erogazioni effettuate in denaro da persone fisiche, enti non commerciali e soggetti titolari di reddito d’impresa per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, per il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione, delle istituzioni concertistico-orchestrali, dei teatri nazionali, dei teatri di rilevante interesse culturale, dei festival, delle imprese e dei centri di produzione teatrale e di danza, nonché dei circuiti di distribuzione e per la realizzazione di nuove strutture, il restauro e il potenziamento di quelle esistenti di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo. Tale credito d’imposta riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei limiti del 15% del reddito imponibile ed ai soggetti titolari di reddito d’impresa nei limiti del 5 per 1000 dei ricavi annui, ripartito in tre quote annuali di pari importo è altresì riconosciuto anche qualora le erogazioni liberali in denaro effettuate per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici siano destinate ai soggetti concessionari o affidatari dei beni oggetto di tali interventi.

 

Come precisato nella circolare n. 24/E del 31 luglio 2014, il credito d’imposta spetta per le erogazioni liberali effettuate in denaro per i seguenti scopi:

interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici;
– sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione, delle istituzioni concertistico-orchestrali, dei teatri nazionali, dei teatri di rilevante interesse culturale, dei festival, delle imprese e dei centri di produzione teatrale e di danza, nonché dei circuiti di distribuzione;
– realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti di Enti o Istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo;
– realizzazione di interventi di restauro, protezione e manutenzione di beni culturali pubblici qualora vi siano soggetti concessionari o affidatari del bene stesso.

 

Come chiarito dal Ministero della cultura, in riferimento alla fattispecie in esame, a seguito della modifica statutaria il Comune esercita un controllo diretto ed esclusivo in riferimento alla funzione di conservazione, manutenzione e valorizzazione dell’intero patrimonio culturale e artistico delle città. In forza di due convenzioni triennali sono stati poi regolati i rapporti tra la fondazione e il Comune per la valorizzazione, lo sviluppo e lo svolgimento delle attività culturali, contestualmente all’assegnazione in favore dell’istante di una pluralità di immobili funzionali allo svolgimento delle finalità statutarie. L’ente, dunque, risulta istituito per iniziativa prioritaria di un soggetto pubblico e gestisce un patrimonio culturale di appartenenza pubblica. La sostanza pubblicistica è supportata da una serie di indici sintomatici:

– costituzione dell’ente da parte di soggetti pubblici;

– maggioranza pubblica dei soci e dei partecipanti;

– finanziamento con risorse pubbliche;

– gestione di un patrimonio culturale di appartenenza pubblica;

– assoggettamento ad alcune regole proprie della P.A. o al controllo analogo.

Resta comunque imprescindibile l’integrazione della qualifica di istituto o luogo della cultura, di cui all’articolo 101, D.Lgs. n. 42/2004. Pertanto, risulta necessario, ai fini dell’ammissibilità all’Art bonus, che l’ente di appartenenza sostanzialmente pubblica non persegua finalità istituzionali diverse, non riconducibili a quelle proprie di un istituto o luogo della cultura.

Ciò premesso, nulla osta alla riconduzione dell’ente al novero dei suddetti istituti o luoghi della cultura, essendo la sua funzione esclusiva la conservazione e valorizzazione dei beni culturali. Il parere del Ministero della cultura risulta, quindi, favorevole all’ammissibilità all’Art Bonus delle erogazioni liberali destinate a sostenere tali complessi monumentali. Infine, in riferimento alla possibilità di perseguire i propri fini istituzionali, anche per gli altri immobili di titolarità del Comune ricevuti in comodato, tramite un sistema di contabilizzazione delle erogazioni liberali che ne consenta una autonoma e distinta rilevazione contabile, l’Agenzia delle entrate evidenzia che, l’articolo 1, comma 5, della Legge n. 106/2014, prevede che i soggetti beneficiari delle erogazioni liberali comunichino, mensilmente, al Ministero della cultura l’ammontare delle erogazioni ricevute nel mese di riferimento, provvedendo, inoltre, a dare pubblica comunicazione di tale ammontare, nonché della destinazione e dell’utilizzo delle erogazioni stesse.

Partecipazione a una STP costituita ex lege n. 183/2011

Risulta possibile per l’avvocato, nel rispetto di quanto previsto dall’ordinamento della professione forense, partecipare a una STP costituita ex lege n. 183/2011, senza assumere la qualifica di socio professionista (CNDCEC, Pronto ordini del 17 maggio 2023, n. 51).

Il quesito sollevato da un Ordine professionale riguarda, in particolare, il caso di tre soci professionisti, iscritti ODCEC, che devono procedere con l’iscrizione di una STP avente per oggetto sociale “la società svolge esclusivamente attività libero professionali ed intellettuali che formano oggetto della professione di dottore commercialista, revisore legale, esperto contabile quali previste dall’art. 1 del D.Lgs. 28/05/2005 n. 139 e ss.mm.ii., consulente del lavoro, avvocato, e comunque ogni e qualsiasi professionista iscritto in Albi professionali le cui attività sono riservate” che non ha indicato nell’atto costitutivo l’attività prevalente.

 

L’articolo 10, comma 4, lett. a), Legge n. 183/2011 stabilisce che possono assumere la qualifica di società tra professionisti le società il cui atto costitutivo preveda l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci.

Alla lett. b) dello stesso comma, poi, è precisato che l’atto costitutivo della STP può prevedere l’ammissione in qualità di soci:
– dei soli professionisti iscritti ad ordini o collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante;
– di soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento.

Il Consiglio cita, altresì, l’articolo 10, comma 8, Legge n. 183/2011, nel quale è disposto che la STP possa essere costituita anche per l’esercizio di più attività professionali. Il successivo riferimento normativo riguarda, poi, l’articolo 1 del D.M. n. 34/2013, nel quale si precisa che:

– la “società tra professionisti” è la società costituita secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile e alle condizioni previste nell’articolo 10, commi 3-11, della Legge n. 183/2011, avente ad oggetto l’esercizio di una o più attività professionali per le quali sia prevista l’iscrizione in apposti albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico;
– la “società multidisciplinare” è la società tra professionisti costituita per l’esercizio di più attività professionali ai sensi dell’articolo 10, comma 8, della Legge n. 183/2011.

L’articolo 8, comma 2, D.M. n. 34/2013, dispone che la società multidisciplinare sia iscritta presso l’albo o il registro tenuto dall’ordine o collegio professionale relativo all’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo.

Il CNDCEC, dunque, precisa che i soci non sono obbligati a individuare l’attività prevalente, essendo quest’ultima una scelta del tutto discrezionale, ma qualora una delle attività dedotte nell’oggetto sociale non sia connotata in termini di prevalenza, la STP multidisciplinare dovrà essere iscritta negli albi di appartenenza dei singoli professionisti.

Premesso ciò, stante quanto previsto dall’articolo 10, comma 4, lett. a), Legge n. 183/2011 e dall’articolo 1, comma 1, D.M. n. 34/2013, per l’iscrizione di STP multidisciplinari è necessario che nella compagine sociale sia presente almeno un socio professionista legalmente abilitato all’esercizio delle professioni individuate nell’oggetto sociale. Nel caso di specie, perciò, la STP, costituita esclusivamente da tre soci iscritti all’albo professionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili, dovrebbe avere per oggetto esclusivo l’esercizio dell’attività professionale che forma oggetto della professione di dottore commercialista, esperto contabile e revisore dei conti.

Il Consiglio, infine, riguardo alla partecipazione da parte di un socio avvocato a una STP ex lege n. 183/2011, richiama il parere reso in data 15 dicembre 2022 dal Consiglio Nazionale Forense, che non ha ritenuto applicabile la disciplina generale recata dalla Legge n. 183/2011, bensì quella recata dall’art. 4-bis della Legge n. 247/2012, espressamente dedicata all’esercizio della professione forense in forma societaria, con i corollari che:

– l’esercizio della professione di avvocato in forma societaria sia riservato in via esclusiva agli avvocati o alle STA;

– l’esercizio della professione forense non è consentito a società multidisciplinari costituite ex lege n. 183/2011.

Ciononostante, conclude il CNDCE, è possibile che l’avvocato possa partecipare a una STP costituita ex lege n. 183/2011 senza assumere la qualifica di socio professionista (ad esempio come socio per finalità di investimento).

Amministratore consociata estera: trattamento fiscale del compenso

L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti sul corretto trattamento fiscale del compenso di amministratore, da riversare ad una società consociata UE, con riguardo alla deducibilità del costo e all’eventuale ritenuta da operare all’atto del pagamento (Agenzia delle entrate, risposta 22 maggio 2023, n. 330).

La fattispecie sottoposta all’esame dell’Agenzia delle entrate riguarda la definizione del corretto trattamento fiscale da adottare da parte di una società italiana che eroga un compenso per l’attività di consigliere di amministrazione ad un dipendente di una consociata estera, verso la quale sussiste un obbligo contrattuale di riversamento dell’emolumento.

Ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera e), del TUIR, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i compensi reversibili di cui alle lettere b) ed f) del comma 1 dell’articolo 50 del TUIR, trattasi, nello specifico, di somme e valori che il prestatore di lavoro percepisce da soggetti diversi dal proprio datore di lavoro per incarichi svolti in relazione alle funzioni della propria qualifica e in dipendenza del proprio rapporto di lavoro.

La circolare del MEF n. 326/1997 ha chiarito che l’assimilazione al lavoro dipendente deriva dal fatto che l’attività venga fornita dal dipendente in relazione a un ordine di servizio ricadente nel rapporto di lavoro subordinato intrattenuto in via principale. Dunque, restano esclusi dal novero dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro, senza però comportare la loro qualifica come redditi di lavoro dipendente. 

La predetta circolare MEF spiega, inoltre, che tali compensi reversibili non devono essere assoggettati a tassazione neanche quali redditi di lavoro dipendente, in quanto sono imputati direttamente al soggetto al quale, per clausola contrattuale, devono essere riversati.

L’Agenzia delle entrate fa anche riferimento alla nota n. 8/166 del 17 maggio 1977, nella quale si riconosce che non concorrono alla determinazione del reddito complessivo soggetto all’IRPEF i compensi reversibili percepiti dai collaboratori coordinati e continuativi tra i quali rientrano i consiglieri di amministrazione. Pertanto, l’Agenzia ritiene, in merito al caso di specie, che i compensi corrisposti al dipendente in relazione all’incarico di consigliere di amministrazione, non assumano rilevanza ai fini della determinazione del reddito.

Infine, viene esclusa anche l’applicabilità dell’art. 16 della Convenzione tra Italia e Paese UE, che prevede una potestà impositiva concorrente per le retribuzioni che un residente di uno Stato contraente riceve come membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale di una società residente nell’altro Stato contraente. Difatti il pagamento, nel caso in oggetto, è effettuato direttamente alla consociata e non al dipendente.

Soggetta a IVA la sanzione per violazione del contratto di parcheggio

L’Agenzia delle entrate ha fornito, con risposta del 9 maggio 2023, n. 320, precisazioni su trattamento ai fini IVA della sanzione per la violazione da parte dell’utente delle condizioni generali di contratto di parcheggio.

Il quesito sottoposto all’Agenzia delle entrate proviene da una società operante nel campo della gestione e del controllo dei parcheggi e che utilizza un innovativo sistema di scansione delle targhe. Tale sistema prevede la possibilità di parcheggiare gratuitamente l’auto per un certo lasso di tempo, di solito tra i 60 e i 120 minuti, superato il quale scatta la violazione del contratto tra la società e i singoli utenti del parcheggio, che dovranno pagare di conseguenza una sanzione. Proprio riguardo al regime fiscale di questa sanzione, l’istante chiede se sia soggetta a IVA oppure esclusa.

 

L’Agenzia ha chiarito che, ai sensi dell’articolo 3, primo comma, del Decreto IVA, costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte e che, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, dello stesso decreto, la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore, secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti.

Tuttavia, il successivo articolo 15, primo comma, n. 1), enuncia che non concorrono a formare la base imponibile le somme dovute a titolo di interessi moratori o di penalità per ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi del cessionario o del committente.

 

Il presupposto per l’applicazione di questa disposizione è l’esistenza di un risarcimento in senso proprio, dovuto a ritardi o inadempimento di obblighi contrattuali.

La risoluzione 23 aprile 2004, n. 64/E precisa, che le somme corrisposte a titolo di penale per violazione di obblighi contrattuali non costituiscono il corrispettivo di una prestazione di servizio o di una cessione di un bene, ma assolvono una funzione punitivo-risarcitoria.

Tali somme, dunque, sono escluse dall’ambito di applicazione dell’IVA per mancanza del presupposto oggettivo.

Tuttavia, l’Agenzia propone un confronto con una fattispecie valutata dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 20 gennaio 2022, C90/20 che presenta profili di similitudine con caso in questione. Ne deriva, in conclusione, l’assunto che la sanzione di importo fisso applicata e riscossa dalla società per la violazione da parte dell’utente delle condizioni generali di contratto sia da considerare quale corrispettivo di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso e assoggettata in quanto tale all’IVA.

Nuove partite IVA: criteri modalità e termini per analisi del rischio

L’Agenzia delle entrate, in attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 35, commi 15-bis.1 e 15-bis.2 del D.P.R. n. 633/1972 introdotti dalla Legge di bilancio 2023, ha definito i criteri, le modalità e i termini per l’analisi del rischio ed il controllo delle nuove partite IVA (Agenzia delle entrate, provvedimento 17 maggio 2023, n. 156803).

Secondo l’articolo 35 comma 15-bis D.P.R. n. 633/72, l’attribuzione del numero di partita IVA comporta l’effettuazione di controlli automatizzati per individuare elementi di rischio connessi al rilascio dello stesso, nonché l’eventuale effettuazione di accessi nel luogo di esercizio dell’attività.

Lo scopo è la verifica dei dati forniti dai soggetti per la loro identificazione ai fini IVA. L’esito negativo della verifica comporta l’emanazione di un provvedimento di cessazione della partita IVA e l’esclusione della stessa dalla banca dati dei soggetti passivi che effettuano operazioni intracomunitarie (VIES).

 

Il comma 148 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2023 ha previsto un’ulteriore tipologia di controlli connessi al rilascio di nuove partite IVA e al comma 149 è stata introdotta una specifica sanzione di euro 3.000 da irrogare contestualmente all’emanazione dei provvedimenti di cessazione della partita IVA. Dunque, con il provvedimento del 17 maggio 2023, n. 156803, l’Agenzia delle entrate mira a definire le modalità per l’attuazione delle disposizioni di cui al comma 148. In particolare il citato comma 148 ha inserito all’articolo 35 del D.P.R. n. 633/72, dopo il comma 15-bis, i commi 15-bis.1 e 15-bis.2, rivolti principalmente alle partite IVA di nuova attribuzione, caratterizzate da brevi cicli di vita o da ridotti periodi di operatività, associati al sistematico inadempimento degli obblighi dichiarativi e di versamento delle imposte.

Di conseguenza l’Agenzia effettua specifiche analisi del rischio connesso al rilascio e all’operatività delle partite IVA, al fine di individuare tempestivamente i soggetti che presentano criticità o anomalie in relazione alla sussistenza dei requisiti soggettivi e/o oggettivi, nonché alla violazione degli obblighi tributari.

 

Gli elementi su cui fondare la valutazione del rischio sono:

– elementi di rischio riconducibili al titolare della ditta individuale, al lavoratore autonomo o al rappresentante legale di società, associazione o ente, con o senza personalità giuridica. Tali elementi possono riguardare sia la presenza di criticità nel profilo economico e fiscale del soggetto sia la manifesta carenza dei requisiti di imprenditorialità, nonché di professionale e abituale svolgimento dell’attività del medesimo;

– elementi di rischio relativi alla tipologia e alle modalità di svolgimento dell’attività, rispetto ad anomalie economico-contabili nell’esercizio della stessa, strumentali a gravi o sistematiche condotte evasive;

– elementi di rischio relativi alla posizione fiscale del soggetto titolare della partita IVA per il quale emergano gravi o sistematiche violazioni delle norme tributarie.

Completate le suddette analisi, i soggetti titolari di partita IVA che risultano presentare elementi di rischio sono invitati a comparire di persona presso l’ufficio competente, secondo le modalità e i tempi previsti dall’ordinamento tributario. Tale comparizione personale è finalizzata alla verifica dei profili di rischio propri del titolare della ditta individuale, del lavoratore autonomo o del rappresentante legale di società, associazione o ente, con o senza personalità giuridica, a cui è attribuita la partita IVA.

In caso di mancata comparizione del contribuente o mancanza degli elementi idonei a dimostrare l’insussistenza dei profili di rischio, l’ufficio notifica al medesimo il provvedimento di cessazione della partita IVA e contestualmente viene irrogata la sanzione prevista dall’articolo 11, comma 7-quater del D.Lgs. n. 471/1997. I suddetti provvedimenti di cessazione e di irrogazione della sanzione sono emessi dall’ufficio territorialmente competente.

Infine, al comma 15-bis.2, articolo 35, D.P.R. n. 633/1972, è stabilito che, in caso di cessazione della partita IVA effettuata ai sensi dei precedenti commi 15-bis e 15 bis.1, il soggetto destinatario del provvedimento può successivamente richiedere l’attribuzione di partita IVA, solo previa presentazione di una polizza fideiussoria o di una fideiussione bancaria, a favore dell’Amministrazione finanziaria, della durata di tre anni e per un importo, in ogni caso, non inferiore a euro 50.000. In caso di eventuali violazioni fiscali avvenute prima dell’emanazione del provvedimento di cessazione, l’importo della fideiussione deve essere pari alle somme ancora dovute se superiori a euro 50.000.

 

8, 5 e 2 per 1000: modalità e termini di trasmissione per i sostituti d’imposta

L’Agenzia delle entrate ha definito le modalità e i termini di trasmissione dei dati contenuti nelle schede per le scelte della destinazione dell’8, del 5 e del 2 per 1000 dell’IRPEF da parte dei sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale nell’anno 2023 (Agenzia delle entrate, provvedimento 16 maggio 2023, n. 155303).

Il provvedimento n. 155303/2023 dell’Agenzia delle entrate, emanato in base alle disposizioni recate dall’articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 51/2023, prevede che per la trasmissione dei dati contenuti nelle schede per le scelte della destinazione dell’8, del 5 e del 2 per 1000 dell’IRPEF, i sostituti d’imposta adottino, per la campagna dichiarativa 2023 relativa all’anno d’imposta 2022, le stesse modalità previste per il periodo d’imposta precedente, ricevendo le buste con le schede dai propri assistiti e consegnandole ad un intermediario o a Poste Italiane S.p.A. per il tempestivo invio all’Agenzia delle entrate entro le scadenze previste.

La consegna da parte dei sostituti d’imposta di tali schede deve avvenire in busta debitamente sigillata e contrassegnata sui lembi di chiusura dai contribuenti, ovvero in una normale busta di corrispondenza, debitamente sigillata e contrassegnata sui lembi di chiusura dal contribuente, avente le caratteristiche indicate dal provvedimento del 6 febbraio 2023.

Nel caso di consegna delle buste ad un intermediario, i sostituti d’imposta devono utilizzare la bolla di consegna, allegata al provvedimento del 6 febbraio 2023, nella quale devono essere riportati i codici fiscali dei soggetti che hanno effettuato la scelta della destinazione dell’8, del 5 e del 2 per 1000 dell’IRPEF.

Gli intermediari dovranno poi rilasciare al sostituto d’imposta copia della bolla di consegna, contenente l’impegno a trasmettere in via telematica i dati contenuti nei modelli 730, nei modelli 730-4 e 730-1.

In caso di consegna delle buste ad un ufficio postale, invece, i sostituti d’imposta devono compilare la bolla di consegna senza indicare i codici fiscali dei soggetti che hanno effettuato le scelte della destinazione dell’8, del 5 e del 2 per 1000 dell’IRPEF, raggruppando le buste in pacchi chiusi contenenti fino a cento pezzi. Su ciascun pacco, numerato progressivamente, deve essere apposta la dicitura “Modello 730-1” e devono essere indicati il codice fiscale, il cognome e il nome o la denominazione e il domicilio fiscale del sostituto d’imposta.

Successivamente gli intermediari trasmettono tempestivamente in via telematica all’Agenzia delle entrate i dati contenuti nelle schede ricevute dai contribuenti: entro il 31 luglio 2023 per le schede ricevute fino al 15 luglio 2023 ed entro il 15 ottobre 2023 per le schede ricevute fino al termine di presentazione del Modello 730/2023.

Gli intermediari e Poste Italiane S.p.A., al momento dell’apertura della busta contenente la scheda, verificano la corrispondenza tra i dati indicati su di essa (codice fiscale, cognome e nome del contribuente) e quelli riportati sulla scheda in essa contenuta.

Secondo quanto stabilito dall’articolo 11 del decreto ministeriale 31 luglio 1998, vige l’obbligo di riservatezza riguardo alle scelte preferenziali espresse nelle schede. Inoltre, in considerazione della particolare delicatezza dei dati riferiti alle scelte effettuate nel Modello 730-1, è fatto divieto assoluto di comunicare e diffondere tali informazioni e di utilizzarle, singolarmente o con modalità massive, per finalità diverse da quelle del servizio di trasmissione telematica all’Agenzia delle entrate.